Efficienza

cit. Enciclopedia Treccani: “Perseguimento del massimo risultato con il minimo mezzo”.

In termini strettamente aeronautici l’efficienza di un aeromobile è un semplice numerino che ci indica il rapporto fra la distanza percorsa e la quota persa per percorrerla (ovviamente in assenza di una forza motrice). Un aliante può avere un’efficienza di 40, questo indica che esso può percorrere 40Km perdendo 1000 metri di quota… non male no?

Anche nel campo dell’audio sentiamo parlare di efficienza: i famosi dB/1W/1m che caratterizzano altoparlanti e diffusori. In questo caso il numerino che leggiamo indica quanti decibel di pressione sonora possiamo ottenere dal trasduttore con 1W di potenza applicata, misurati a 1 m di distanza.

Quest’ultima considerazione mi da l’occasione di parlare di efficienza in un contesto “audio” in modo molto generale e senza voler parlare direttamente di “audio” in particolare.

Quindi torniamo al contesto “aviatorio”. Quando si impara a volare senza motore, dopo aver appreso i rudimenti del volo in modo da non costituire un pericolo per sé e per gli altri, il primo traguardo è quello di riuscire a volare più a lungo possibile, più in alto possibile e più lontano possibile… Ovviamente senza motore.

Abbiamo visto che un aliante ha una sua efficienza e questo è sicuramente un dato importante, ma il resto dipende dal pilota. Pilotare come un top gun su un F18 NON è una condotta vantaggiosa per l’efficienza del volo, cominciamo a premettere questo.

Chi mi insegnò a volare tanti anni fa ebbe a dirmi che in aliante deve essere sufficiente pensare a dove andare e l’aliante lo farà: basta tenere due dita sulla barra, non è necessario spostarla. Posto che chi mi parlava non era un maestro Jedi, e un pilota in attesa di brevetto non è un giovane Padawan, ciò che intendeva il mio mentore era che bisogna pilotare in modo molto delicato se vogliamo essere efficienti. Forti input sui comandi servono per fare acrobazia ( e scendere in fretta) , non per andare lontano.

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L’Aliante sa volare benissimo da sé: l’importante è lasciarglielo fare!

L’Aliante è una macchina progettata (fatti salvi i requisiti di sicurezza)  per il solo scopo di essere efficiente in volo…. ci avete mai pensato?

Una macchina insomma estremamente raffinata e specializzata.

A cosa vi fa pensare questa definizione?

Già, in teoria le apparecchiature audio che utilizziamo dovrebbero essere pensate negli stessi termini.

In teoria, appunto, perché in pratica spesso si vede ben altro 🙂

Non saltiamo alle conclusioni e facciamo un passo alla volta.

Abbiamo sentito mille volte citare l’esempio del violinista che riempie di magnifico suono un auditorium senza bisogno di amplificazione, mentre certi impianti fanno fatica persino a riprodurre in modo credibile il suono dello stesso violino registrato, all’interno di una stanza.

Qual’è il punto? Il violino è progettato per suonare, è ovvio.

Anche l’impianto “hifi” lo è… o no?

Vedremo che la risposta, in molti casi è semplicemente “NO”.

Facciamo un piccolo ragionamento sulla definizione di “efficienza”, lasciamo stare un secondo a termodinamica e leggiamo la Treccani che ho citato nella prima riga. Qual’è il risultato da perseguire? Certamente il risultato ideale è la perfetta riproduzione di una qualche forma di registrazione. Ovviamente le uniche registrazioni che ci permettono di avere un termine di valutazione sono quelle di strumenti acustici o eventi reali, dal momento che nessuno conosce il reale suono di uno strumento elettronico (che non esiste se non viene amplificato, e di conseguenza modificato, in qualche modo).

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Cosa intendiamo per “perfetta” riproduzione? Essenzialmente si tratta di fa arrivare alle membrane degli altoparlanti, e quindi all’aria, lo stesso segnale (onde di pressione) che i microfoni hanno captato. Naturalmente se capovolgiamo l’ordine possiamo anche parlare di perfetta registrazione, ma non è questo il campo di cui ci stiamo occupando, di conseguenza assumiamo che questa sia già “perfetta”.

Bene, quali sono i termini da rispettare, in senso strettamente tecnico? Banda passante, dinamica sono i primi che vengono in mente, ma direi che fin qui qualsiasi porcheria moderna è in grado di soddisfare più o meno sufficientemente questi parametri. Ma ancora qualcosa non quadra perché la soundbar del vostro TV piatto fa tipicamente schifo anche se sulla carta distorce poco, suona forte e va da 50Hz a 20KHz…

Vediamo un po’ cosa manca e torniamo all’efficienza.

Un sistema di riproduzione efficiente DEVE essere in grado di riprodurre al meglio l’informazione contenuta nella registrazione.

Ovvero, siccome siamo nel mondo reale e la perfezione non esiste, DEVE perdere meno informazione possibile nel processo.

Semplice no?

Vediamo  di tradurre in termini più conosciuti a “noi” audiofiliaci.

Come si può rovinare il nostro segnale in un sistema di riproduzione? In due modi: coprendolo col rumore o distorcendolo. E fin qui lo sapevamo tutti.

Entriamo un po’ nel dettaglio.

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Rumore.

Il tipo di rumore più banale sicuramente è il classico fruscio e il ronzio che ci capita di sentire, magari alzando molto il volume… avete presente? pshhhh o zzzzz.

Rumorini più o meno presenti dovuti alle cause più disparate, dovuti a limiti di circuiti stessi o a layout non perfetti e alimentazioni fatte coi piedi. Sono però anche i tipi di rumore più innocui proprio perchè li sentiamo e li misuriamo facilmente e possiamo da una parte minimizzarli correggendo i difetti elettronici, dall’altra, come tutti i rumori persistenti e non correlati col segnale, è il cervello stesso che li rimuove all’ascolto.

Poi ci sono i rumori “cattivi”, quelli che non si sentono.

Penso al rumore digitale, quello che è presente in tutti i sistemi di riproduzione digitale perché insito alla conversione Digitale/Analogico. In questo campo i miglioramenti negli anni sono stati enormi: basti pensare alla differenza esistente fra la riproduzione di un CD e quella di un file ad alta risoluzione. C’è anche un altro modo di generare rumore nel dominio digitale in modo assolutamente sicuro e dannoso: elaborare il segnale. Compiendo una qualsiasi operazione matematica sul segnale numerico genera un certo tasso di imprecisione dovuta al fatto che si lavora sempre su un numero finito di bit. Questa è una legge matematica da cui non si scappa, non mi inoltrerò oltre nella materia. In soldoni tutti i DSP, elaboratori, processori hardware o software che mettiamo sul segnale lo degradano irrimediabilmente in qualche misura. Non accetto l’obiezione di chi asserisce che il suo impianto suona meglio con la room correction: se così è ci sono problemi oggettivi talmente gravi che probabilmente parlare di alta fedeltà è eccessivo. (sì: è un parere da integralista, ma ma qui si sta ragionando sui massimi sistemi e non c’è spazio per il compromesso).

Nella categoria dell’elaborazione digitale rientrano anche le conversioni di formato ( passaggi da PCM a DSD e simili) e i sistemi di up/over sampling. Tutti da evitare? Direi di sì.

Un altro tipo di rumore “che non si sente” è quello a frequenze inudibili: per andare sul semplice parlo di tutte quelle interferenze ad alta frequenza, tipicamente EMI/RFI che influiscono sul funzionamento degli apparecchi interagendo e “rovinando” il segnale. Il bello di queste interferenze è che fanno i danni maggiori nei circuiti più complessi e, in teoria, più lineari. Com’è strana l’elettronica a volte!

Ma non disperate, la soluzione, almeno parziale, consiste nel tenere lontane le interferenze dai circuiti pulendo in modo corretto l’alimentazione e schermando efficacemente le elettroniche stesse ed i cavi… Certo se usassimo circuiti semplici e intrinsecamente meno proni a fare “casini” avremmo già un vantaggio in partenza, no?

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Semplici forme di distorsione del segnale

Distorsione.

Brutta bestia questa, ma facciamo anche qui una distinzione. Siccome ormai qualsiasi porcheria dichiara tassi di distorsione infinitesimali non dovremmo esserne preoccupati, no? E invece sì.

Quella che ormai da anni si misura e si dichiara su tutti i manuali utente è la THD, acronimo di Total Harmonic Distortion, la distorsione armonica totale. Questa viene di solito applicando al dispositivo sotto test un segnale sinusoidale a 1 KHz e misurando le spurie in uscita a una determinata ampiezza del segnale. Cosa ci dice questa misura sulla bontà del nostro dispositivo? Un emerito Nulla, Niente, Nada. Un po’ più di informazione ce la può dare un grafico di tale distorsione, magari sotto carico e a piena potenza: analizzando la distribuzione delle armoniche e la loro ampiezza riusciamo a farci una grossolana idea di come funzioni, e suoni, quantomeno lo stadio di uscita del dispositivo sotto test, ma questo è tutto. Siamo comunque nel dominio del macroscopico: un’analisi con grossi segnali che difficilmente sono quelli di funzionamento normale.

Dimentichiamoci allora un momento della THD e veniamo a un concetto generico di distorsione del segnale inteso come sua deformazione.

Una costante da cui non possiamo prescindere è che ogni componente elettronico distorce il segnale.

Un circuito con due componenti distorce di più (e peggio) di un circuito con un componente. Questo è noto fin dai primordi dell’elettronica quando uno dei compiti più ardui era amplificare il segnale telefonico per fargli percorrere lunghe distanze sui cavi. Poi venne un certo Harold Stephen Black che nel 1927 applicò il concetto di controreazione negativa agli amplificatori e risolse un grande problema di linearità riducendo enormemente i costi di costruzione degli amplificatori a parità di prestazioni. Da allora si poterono avere amplificatori con tassi di THD molto bassi con semplicità.

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Questo sistema richiede un aumento della complessità del circuito, ma ne riduce il costo complessivo e ne semplifica il progetto riducendone i costi in quanto il sistema da controllare (il nostro circuito amplificatore) può avere intrinsecamente prestazioni “scarse”: sarà il “controllore” ossia il circuito di retroazione a curarsi di imbrigliarlo e fare sì che il segnale in uscita sia quello desiderato.

Fantastico! Problema risolto! Per molti lo è, per il sottoscritto, invece, per nulla.

Vediamo un po’ cosa succede nel piccolo.

Il nostro sistema è diventato più complicato, quindi avremo in gioco le distorsioni sommate di molti dispositivi. Queste distorsioni vengono contrastate dall’azione del “controllore” che “lavora” per rendere ideale il circuito e abbatte la maggior parte della distorsione.

In questo modo i valori della THD misurata saranno dannatamente bassi.

Adesso cercherò di spiegare concetti complicati in modo semplice, spero.

Il gioco della controreazione funziona bene in un mondo ideale dove tutti i componenti sono perfetti e il segnale si propaga a velocità infinita. Però sappiamo che questo non esiste, di conseguenza abbiamo un comportamento sub-ideale nel mondo reale, causato dal ritardo di propagazione del segnale e dalle “imperfezioni” del controllore stesso.

Ciononostante la maggior parte della distorsione viene cancellata. Ora bisogna capire cosa accade al resto…

Se misuriamo un amplificatore retroazionato (il 99.99% degli amplificatori che avete in salotto) con metodi un po’ meno banale di quello esposto prima possiamo vedere delle cose interessanti. Proviamo ad applicare all’ingresso del nostro dispositivo un segnale con un contenuto armonico molto elevato come ad esempio un’onda quadra. Nel grafico, proveniente da Wikipedia è il segnale disegnato in rosso.

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Poi, senza scomodare complessi e costosi strumenti di misura, proviamo a collegare all’uscita un oscilloscopio, meglio un buon vecchio analogico, perchè un moderno economico digitale in questo caso non ci farà vedere nulla. Andando a evidenziare i fronti di salita e discesa del segnale, oltre ai punti di transizione, è davvero interessante vedere quante strane cose succedono al nostro segnale! Fronti di salita che si interrompono, scendono e poi risalgono, punti di transizione affetti da overshoot e ringing e altre amenità del genere. Premetto che si tratta di deformazioni minime del segnale che pesano pochissimo sul valore assoluto della distorsione. Effettivamente la retroazione abbassa il valore della distorsione.

Ma non è tutto oro quello che luccica, e quella poca distorsione in realtà è molto fastidiosa all’ascolto, non solo, ma viene percepita distintamente come una minore “naturalezza” del suono riprodotto.

Aggiungiamo un’altra pietra alla tomba della controreazione… Quando il livello del segnale si abbassa, l’efficacia del “controllore” si attenua e il circuito “controllato” (i.e. il nostro amplificatore) riprende a funzionare per conto suo, cioè male. Questo ci dice essenzialmente che un circuito retroazionato ci rovina i piccoli segnali… che sono tutte quelle microinformazioni contenute nelle nostre registrazioni che ci fanno distinguere un suono “buono” da uno artefatto e banale.

Brutta situazione eh?

Quindi è da preferire un circuito senza retroazione con tassi di distorsione altissimi a uno retroazionato che distorce poco in valore assoluto, ma lo fa “malamente”?

NO, assolutamente, ma è da preferire un circuito non retroazionato che distorce poco.

Quindi è un po’ come volere la moglie piena e la botte ubriaca…

Quasi: il problema legato alla realizzazione di circuiti non retroazionati che siano poco rumorosi e molto lineari (= con poca distorsione)  è solo un problema di costo. Costo realizzativo, ma anche e, direi, soprattutto progettuale.

Un cretino qualsiasi riesce a fare un ampli da 50W con pochi spiccioli e due ore di lavoro usando una manciata di transistor. Suona bene? No, ma non è un requisito: deve solo costare poco, ricordiamocelo.

Creare un circuito dotato di una buona linearità intrinseca, basso rumore e buone caratteristiche elettriche senza far uso dei “trucchetti” di cui sopra è molto più complicato: bisogna avere conoscenze approfondite dei dispositivi utilizzati, questi devono essere di ottima qualità, tutta la  componentistica deve essere di elevata qualità  e in ultimo il circuito deve essere accuratamente ottimizzato… quindi tempi di sviluppo lunghi e costi alti.

Non ho detto che fosse una cosa facile, ma è possibile.

Il risultato, di solito, è un circuito topologicamente molto semplice e composto da pochi dispositivi attivi (valvole o transistor che siano).

Il risultato collaterale (o no? ) è che il segnale viene manipolato pochissimo e gran parte della sua informazione originaria passa indisturbata dall’ingresso all’uscita.

Vi ricordate il “segreto” per far volare bene un aliante?

 

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