Internet è davvero così importante nella nostra vita audiofila? Quanto la nostra passione è “connessa”? E noi? Quanto ne abbiamo bisogno? Abbiamo provato a domandarcelo
Nativi digitali, touch generation: un esercito di giovanissimi esseri umani che hanno instaurato una relazione strettissima – quasi simbiotica – con Internet.
Qualsiasi cosa vogliano, la chiedono a Google: se c’è un locale ancora aperto, se domani sarà bel tempo, qual è la strada più breve per tornare a casa, quali film danno al cinema, se ci sono ancora biglietti per un concerto, qual è la hit più ascoltata del momento.
Perennemente in multitasking, con manciate di finestre aperte nel browser, sono in grado di ripartire la propria attenzione (o piuttosto la propria disattenzione) in un numero imprecisato di attività nel momento in cui i loro occhi si posano su uno schermo.
Chi dipende da Internet? E chi non ne può fare a meno?
Prendendo spunto dall’ottimo articolo di Home Theater Review, ci siamo chiesti se la situazione sarebbe simile anche in Italia, dove sappiamo lo stato della connettività non è esaltante come negli Stati Uniti. (dove per inciso un capanno di caccia nei boschi del Midwest ha una connessione migliore di quella di molte cittadine italiane).
Per scoprirlo non dovremmo fare altro che ripensare a quel drammatico giorno – o nel peggiore dei casi a quel drammatico periodo – in cui per una serie imprevedibile di motivi ci siamo ritrovati tagliati fuori dalle rete.
A tutti è capitato, almeno una volta. Finestra bianca, caricamento eterno, assenza completa di linea. Cosa abbiamo fatto?
Abbiamo provato il solito protocollo di emergenza: siamo andati al router, lo abbiamo spento, abbiamo atteso quei fantomatici dieci secondi che fanno spegnere tutte le luci e abbiamo schiacciato di nuovo il pulsante di accensione, pregando che miracolosamente la rete tornasse ad avvolgerci nel suo abbraccio rassicurante.
Ma i miracoli non avvengono spesso e a ognuno di noi, con certezza matematica, si sarà ritrovato almeno una volta nella vita con le mani in mano, senza poter svolgere attività apparentemente banali, che abbiamo ormai imparato a dare per scontate: comunicare via chat, leggere email, giocare a videogiochi on line, vedere film in streaming, ascoltare musica.
Era naturale che volessimo arrivare qui, dal momento che l’ascolto è uno degli argomenti fissi di un audiofilo, no?
Ascoltare musica al tempo del World Wide Web
Abbiamo già scritto mesi fa su questo argomento: nell’epoca del multitasking digitale ascoltare musica non è più considerata un’attività totalizzante, alla quale dedicare il nostro tempo e la nostra attenzione in maniera completa.
L’ascolto di musica si è ridotto a un’attività di sottofondo, di accompagnamento, di mero intrattenimento. Quella da cui parte la musica è soltanto una delle tante finestre che teniamo contemporaneamente aperte nel nostro browser e nel nostro cervello e di cui abbiamo parlato poco sopra.
Gran parte della musica che ascoltiamo nell’ arco di una giornata, quindi, proviene dalla rete, con tutte le specifiche di qualità (spesso molto bassa) che è necessario fare. Ne abbiamo parlato in un altro articolo, in cui si affrontava l’argomento della digitalizzazione dell’informazione musicale resa necessaria dalla sua fruizione on line
Nel giorno infausto in cui dovessimo rimanere senza una connessione internet quindi, sono molte le cose che potremmo riscoprire. Il giardino sotto casa, il piacere di un buon libro, l’ascolto di buona musica, con un buon impianto analogico, e magari con un vinile alla vecchia maniera.
E se avessimo un figlio, uno dei nativi digitali che preferiscono chiedere a Google piuttosto che al papà che musica ascoltare? Beh, se la rete in cui è perennemente aggrovigliato un giorno dovesse rompersi e ce lo dovesse restituire, allora perché non approfittarne e mettere su Dark Side of The Moon e spiegargli che quella che esce dalle casse – e non dalle sue cuffiette – è la musica migliore?