Streaming e MQA, Vera Gloria?

Di tanto in tanto il mercato ha bisogno di tirare fuori dal proprio cilindro una novità su cui puntare i riflettori e convincerci che non ne potremo fare assolutamente a meno.
L’ultima trovata è la cosiddetta High Resolution Music, per segnalare la quale la Recording Industry Association of America ha ideato un orribile logo che probabilmente campeggerà su gran parte dei prodotti discografici rilasciati in streaming nel prossimo futuro.

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Il comunicato ufficiale dell’11 di Maggio 2016, riporta:

Un certo numero di sistemi di incapsulamento dei dati [data packing nell’originale, che peraltro non è una definizione pertinente nemmeno in inglese, NdR] stanno venendo sviluppate in maniera da supportare lo streaming dei file musicali ad alta risoluzione in maniera più efficiente per i consumatori, inclusi il MQA (Master Quality Authenticated), il MPEG4 Audio SLS. Queste e altre tecnologie approvate consentiranno servizi autorizzati a mostrare il marchio High Resolution Music sulla propria pagina di destinazione o accanto a un singolo album o brano.

Il “solito” Audiostream ha preso in considerazione le implicazioni di questa novità, partendo da un presupposto interessante: se esiste la musica “pregiata” in alta risoluzione, cosa stiamo comprando quando acquistiamo musica da un servizio tradizionale? Per fare un parallelo con il mondo fisico, tanto caro all’industria musicale, che probabilmente non ha ancora capito perfettamente che siamo nel 2016, è come dire che esistono due edizioni di un vinile, una che suona discretamente venduta a prezzo pieno e una che suona bene, veduta con un sovrapprezzo.

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Purtroppo per noi si tratta soltanto di un nuovo package che tenta di rendere appetibile un modo di registrare musica perfettamente in auge già all’epoca in cui venivano incisi i vinili. Naturalmente il vinile è superato (secondo alcuni) e il supporto fisico più attuale è il CD.
Ebbene, non ce ne vogliano quelli del marketing, ma chiunque conosca un po’ la musica e le tecniche di registrazione sa perfettamente che il supporto finale è solo la punta dell’iceberg. Riproporre come high resolution music una versione ricampionata dello stesso master di un CD che suona bene, non migliorerà la qualità di una virgola. Un buon CD messo in un buon impianto HiFi suona molto spesso esattamente come la musica high resolution.

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Un punto va accettato come ineluttabile: supporti fisici sono destinati a una nicchia sempre più ristretta, e se dobbiamo azzardare una previsione è probabile che in questa abbiano un destino migliore i supporti analogici. Perché, se parliamo di digitale il download è il vero mezzo di diffusione musicale del nuovo millennio. Quindi affrontiamo il problema dell’alta definizione anche dal punto di vista di un utente che intenda scaricare un brano alla più alta qualità possibile.
Qual è la più alta qualità possibile di una registrazione? Quella originaria, quella che doveva essere compressa fino ad entrare nello spazio ristretto della memoria di un CD. Dal momento però che non stiamo più comprando CD da diverso tempo, perché dovremmo acquistare una traccia audio compressa e non una copia lossless dell’originale?

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Buona domanda, ed è una domanda retorica. I formati in alta risoluzione esistono già, senza bisogno di riscoprire l’acqua calda. Casomai, ma ovviamente è una direzione che non piace a chi deve guadagnare in fee su algoritmi e brevetti, servirebbe una bella ripulita, una standardizzazione, magari andando in direzione di una versione migliorata dei tanti formati open già esistenti. Ma naturalmente le major da questo orecchio non sentiranno mai.

Cosa dovremmo rispondere quindi alla varie etichette che stanno portando avanti questa operazione commerciale travestita da cura per la qualità del suono?
Un sonoro “NO GRAZIE”.

 

1 commento su “Streaming e MQA, Vera Gloria?”

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