Napster: diciassette anni fa, la musica cambiava per sempre

Meravigliosamente a cavallo tra due Millenni, Napster fece la sua breve ma dirompente comparsa sul World Wide Web esattamente 17 anni fa: era il 1999 e il futuro della distribuzione musicale sembrava dietro l’angolo.

Lo era.

Primi a mettere in piedi una piattaforma di scambio peer to peer di mp3, i fondatori di Napster erano due giovani rampanti: Shawn Fanning e Sean Parker i quali compresero la portata rivoluzionaria della Rete nella distribuzione e nella fruizione della musica.

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Quello che probabilmente non immaginarono, sono le conseguenze che il loro lavoro ebbe sul futuro della musica in particolare e dell’intrattenimento in generale. Quasi nel giro di una notte, ogni adolescente, ogni persona in grado di accedere a un computer connesso alla Rete ebbe a disposizione tutta la musica che voleva, gratis e (quasi) immediatamente. La carica liberatoria di questo semplice evento fu probabilmente sottovalutata, in particolare dai grandi distributori. Certo, il tutto era completamente illegale, anche se la legislazione dimostrerà in più di un’occasione, da quel momento in avanti, di essere lontana anni luce dalla comprensione dei cambiamenti che il mondo stava subendo. Il non dover acquistare un intero CD ascoltare una singola traccia mandata a ripetizione, ma soprattutto l’opportunità di avere tutto e subito, unita alla possibilità di non spendere denaro, trasformarono  per sempre l’approccio dei giovani adulti all’universo musicale.

Fra etica, necessità e scorciatoie

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Una rivoluzione che colpì profondamente l’allora piuttosto esigua comunità degli utenti di Internet: tutto era illegale, eppure era così bello da non sembrare vero. Eppure, l’industria musicale, pur essendo cambiata nel profondo, non è andata in rovina, anzi. Perché?

Gli adulti di allora come quelli di oggi avevano ben chiaro il concetto che chi lavora dovrebbe essere pagato per quello che fa. Molti di loro probabilmente si chiesero se scaricare musica gratuitamente dalla rete fosse legale. Si risposero che no, non lo era, si strinsero nelle spalle e continuarono a farlo. Spesso fornendo comunque il loro supporto agli artisti, comprando comunque CD destinati a rimanere sigillati, andando ai concerti o acquistando merchandising.

I più giovani no. Non videro il problema, accecati da quella nuova forma di onnipotenza. Quei pochi che lo videro si dissero che la musica era un bene universale, come l’aria e l’acqua e che era molto punk prenderla senza pagare, rifiutandosi di arricchire ulteriormente le major della grande distribuzione musicale (e visto il divario fra i ricavi degli artisti e i margini dei distributori, non ci sentiamo nemmeno di dare loro completamente torto, pur non condividendo affatto questa idea)

Il risultato fu che Napster fu l’epicentro di un terremoto che scosse fin nelle fondamenta la struttura della distribuzione musicale che era stata costruita nel corso dei decenni attraverso un delicato equilibrio di interessi e contrappesi economici. Ci furono cause e azioni legali, tribunali, articoli di giornale, casi eclatanti. Ma lo scambio di musica digitale, una volta avviato, colpì l’industria musicale come uno tsunami.

Le major puntarono il dito contro tutti coloro che avevano scaricato anche un solo pezzo dalla rete etichettandoli come ladri. Furono intentate azioni legali a carico di ragazzini, la cosa sfociò nel ridicolo ma conseguì il risultato: Napster per come lo si conosceva smise di esistere nel 2003 quando si è trasformato in un servizio legalizzato a pagamento di proprietà della Roxio, perdendo tutta la carica rivoluzionaria che ebbe all’atto della sua nascita.

Napster diventa commerciale e il dopo-Napster

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Dopo Napster vennero molti altri. Kazaa, WinMx, eMule, BitTorrent e centinaia di sistemi minori o estremamente specifici, alcuni destinati scomparire in pochi mesi, altri diventati parte integrante di Internet, ma la rivoluzione era cominciata e nulla avrebbe potuto far tornare indietro le cose.

Quando finalmente le major compresero che non avrebbero dovuto combattere lo sviluppo tecnologico ma collaborare con esso, nacquero le modalità di condivisione legale in streaming che conosciamo oggi e di cui altri – non i fondatori di Napster – stanno raccogliendo i frutti.

La storia recente della tecnologia dovrebbe avere un suo calendario, un elenco delle date simbolo di un’era o del superamento di essa. Il mese di Giugno del 1999 dovrebbe essere segnato in rosso, come il momento in cui la musica entrò nel terzo millennio grazie a Napster.

C’è un filo sottile ma indistruttibile che unisce Napster e, per esempio iTunes o Google Play Music, giusto per citare i due più celebri, ma anche gli “ultimi nati” del mondo musicale come Spotify o SoundCloud: il bisogno sempre più sentito di trovare un punto di incontro sostenibile fra il bisogno di musica che tutti hanno e l’esigenza etica di fornire un giusto tributo a chi mette la sua arte al servizio di tutti. I fondatori di Napster hanno il merito storico di aver recepito questo bisogno e di aver saputo realizzare lo strumento per metterlo in pratica.

E ora il presente

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Wired riporta la notizia che Rhapsody (il sito di streaming che si era comprato Napster nel 2011) cambierà il suo nome in, pensate un po’, Napster. In fondo il passato piratesco del noto servizio di sharing sembra che possa portare un po’ di notorietà a Rhapsody permettendogli di entrare in lizza coi Big Ones del settore streaming.

A volte ritornano!

 

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