Musica digitale: la differenza si sente! Lo dice la scienza.

La diatriba tra chi sostiene che la qualità audio di un CD sia perfettamente sufficiente per una fruizione dignitosa della musica e coloro che non ne sono affatto convinti serpeggia nella comunità degli esperti di acustica fin dalla nascita della digitalizzazione e del  compact disc, sul principio degli anni ’80.

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Recentemente la Queen Mary University of London ha deciso di mettere un punto alla situazione, pubblicando uno studio scientifico in merito alla differenza tra la percezione del suono in qualità CD e quella del suono in Alta Definizione.

Prima di approfondire l’argomento facciamo un breve ripasso: la frequenza di campionamento si misura in hertz e rappresenta il numero di volte al secondo in cui un segnale audio analogico (cioè naturale) viene misurato e registrato in forma digitale.
La profondità di bit costituisce invece la quantità di dati immagazzinati (in bit) durante ogni campionamento.

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Il passaggio dall’audio analogico o naturale (ovvero quello percepito dagli esseri umani) a una serie di dati numerici fruibili dai vari dispositivi digitali avviene attraverso il processo di campionamento o digitalizzazione, a seconda di quanto vogliamo essere pignoli nel definirlo
Naturalmente, all’aumentare della frequenza di campionamento e del numero di bit utilizzati, la fedeltà del segnale aumenta. Ripassando un po’ di matematica di quella divertente che sta alla base di questo processo grazie ai signori Fourier e Laplace, sappiamo che, in teoria, per riprodurre un segnale in modo perfettamente fedele sarebbe necessaria una quantità infinita di dati. Questo ha dato origine al grande compromesso della musica digitale: trovare il modo di archiviare il suono con una qualità accettabile, contenendo la quantità di dati richiesta.

Questione di specifiche

Un CD supporta una frequenza di campionamento di 44,1 kHz e una profondità di 16 bit. I DVD-Audio e gli HD DVD, i BD ROM (cioè i Blue Ray) e i sistemi di editing ad alta definizione supportano una frequenza di campionamento di 192 kHz e arrivare a una profondità di 24 bit. I file prodotti da una digitalizzazione a 24 bit e 192 khz spesso sono definiti FLAC ovvero (Free Loss Audio Codec)  e sono codificati senza perdite. Per non rendere troppo complessa questa premessa lasciamo per un momento da parte tutto quello che riguarda compressione e trasmissione.

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Come riportato in questo interessante articolo su Alpha Galileo, i ricercatori della Queen Mary University hanno comparato oltre 12000 risultati derivati da 18 progetti di studio durante i quali i soggetti utilizzati come campione erano invitati a distinguere i formati in cui erano registrati vari pezzi musicali principalmente di jazz e di classica.

Ebbene, è risultato evidente che anche l’orecchio meno allenato, se le condizioni di ascolto lo permettono, è in grado di percepire con una certa esattezza la differenza tra un formato audio da CD e un formato in alta risoluzione.

Scelte commerciali. Lungimiranti?

Tra coloro che hanno fiducia nella capacità di discernimento degli ascoltatori c’è Jay Z. Il rapper americano ha recentemente acquistato Tidal, il servizio a pagamento di streaming on line ad alta definizione che fu lanciato alla fine del 2014 dalla società svedese Aspiro.

ATLANTA, GA - FEBRUARY 23: Jay-Z attends the So So Def anniversary party hosted by Jay Z at Compound on February 23, 2013 in Atlanta, Georgia. (Photo by Prince Williams/Getty Images)

Attualmente Tidal vanta accordi di distribuzione con la più famose etichette discografiche e moltissimi artisti, allettati dalle royalties che il servizio assicura, tre volte più alte di quelle fornite da altri servizi di streaming come Spotify.
I detrattori dell’iniziativa sostengono che Tidal sovrastima le capacità dell’ascoltatore medio e che senza un’adeguata apparecchiatura di amplificazione il formato lossless messo a disposizione dal servizio streaming in alta risoluzione non risulta molto differente da quello di un comune CD. La quota mensile per usufruire dei servizi di high definition streaming di Tidal, che ammonta a 20 dollari, è inoltre ritenuta del tutto irragionevole per il mercato di massa.

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A quanto pare però la scienza da ragione a Jay Z e l’annosa questione sembra chiusa per sempre. Rimane da scoprire, secondo il Dottor Reiss, curatore della ricerca della Queen Mary University, come e perché il nostro cervello percepisca le differenze esistenti tra un audio in bassa e uno in alta definizione, ma c’è tempo per farlo.

Una conferma, insomma, per tutti coloro che investono o hanno intenzione di investire in apparati digitali per il loro sistema o impianto, anche se, in fondo, si tratta di una conferma: anche in questo caso infatti quello che farà davvero la differenza sarà la qualità dei nostri apparati.

1 commento su “Musica digitale: la differenza si sente! Lo dice la scienza.”

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