Il declino del suono stereo

Il suono stereo è senza dubbio una delle innovazioni storiche nel mondo dell’audio. Grazie a questo assunse una potenza e una profondità spaziale che fino a quel momento era stata impensabile.
La riproduzione monoaurale che aveva invaso l’America e poi il Vecchio Continente attraverso le radio e i jukebox fu rapidamente surclassata e confinata nel dimenticatoio del low – fi.

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Posizionato finalmente al centro di un campo sonoro ricreato da diversi altoparlanti ognuno dei quali riproduce uno specifico flusso di informazioni sonore, l’ascoltatore di musica poteva godere di un’esperienza totalizzante e appagante, che ha donato alla musica e al suono la terza dimensione.
Meraviglioso.

Il suono stereo e la musica usa e getta

Ma cos’è successo dalla nascita della stereofonia in poi? Come vivono gli audiofili la rivoluzione digitale e l’odierna riproduzione della musica attraverso gli smartphone, le soundbar e gli amplificatori bluetooth?
Male. Malissimo.

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Quello che più di ogni altra cosa avvilisce coloro che sanno cosa sia la stereofonia è la consapevolezza che le nuove generazioni non sono in grado di distinguere un suono monofonico da uno stereofonico, e quindi stiamo facendo enormi passi indietro.

Vero è che la riproduzione stereofonica necessita di un apparato tecnico e soprattutto di una disposizione specifica dei diffusori che non è esattamente semplice da mettere in campo: Giusto per iniziare,  i due altoparlanti frontali dovrebbero essere posizionati a formare un angolo di 60° che abbia come vertice l’ascoltatore e spesso in base alla configurazione dell’ambiente sono necessari ulteriori messe a punto, e così via. Non proprio semplice come schiacciare play sullo smartphone, ammettiamolo.

L’importanza dell’informazione

In quest’ottica, è indispensabile educare gli acquirenti alla consapevolezza: una scatoletta da pochi centimetri cubi, per quanto di buona qualità, non sarà in nessun modo in grado di riprodurre un suono stereo, qualsiasi cosa ci sia scritto sul package. Qui c’è una panoramica dei modelli che in UK sono stati esaminati proprio per mettere a confronto la qualità della riproduzione del suono che in molti casi è definita “stereo”.
Non serve una laurea in fisica per capire che gli altoparlanti di uno smartphone, così ravvicinati per limiti strutturali dell’apparecchio, non potranno mai formare con l’ascoltatore l’angolo aureo di 60° che abbiamo visto poco fa essere alla base della fruizione stereofonica del suono.

Molti, a questo punto, staranno pensando alle cuffie.

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Le cuffie forniscono un’ottima esperienza di suono stereofonico, no?

No.

In stereofonia ogni orecchio è in grado di ascoltare tutti i canali di riproduzione delle informazioni uditive. Per dirla in due parole, ogni orecchio riceve il suono di tutti gli altoparlanti disposti nella sala in cui sta venendo riprodotto il suono.
Con le cuffie questo è materialmente impossibile. Ogni orecchio sente soltanto le informazioni veicolate dal suo auricolare.
Risulta chiaro quindi che la riproduzione della musica attraverso le cuffie è chiamata impropriamente stereofonica: il nome corretto è “binaurale”.
All’epoca in cui le cuffiette nelle orecchie cominciarono ad essere lo status symbol di una generazione di ribelli, una della band che faceva sventolare meglio di altre la bandiera del grunge registrò un album con questa tecnica e lo chiamò, appunto “Binaural”.

La riproduzione binaurale della musica è di certo più soddisfacente di quella monoaurale, ma non è stereo. Lo si dovrebbe ripetere fino alla noia.

E se anche le cuffie non ci forniscono che un’illusione, rimane da qualche parte un barlume di stereofonia nelle nostre vite? A quanto pare l’ultimo baluardo attuale della stereofonia, nel mondo consumer, è costituito dai sistemi audio delle automobili.

Con buona pace di chi lotta ogni giorno con i centimetri e i gradi per arrivare all’ascolto perfetto.

 

 

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