Bring Peace to the Loudness War: basta guerra del volume!

Dagli anni novanta ad oggi la cosiddetta Loudness War, o guerra del volume, ha funestato la vita degli artisti e dei fruitori di musica.
La radice della questione affonda nell’epoca dei vinili, quando le case di produzione cominciarono pretendere registrazioni che suonassero “louder than others”, più forte degli altri. La Motown, ad esempio, divenne celebre per aver sfornato alcuni dei 45 giri più “caldi” del tempo.
Questa corsa al volume nasceva dal desiderio dell’industria musicale di produrre musica d’impatto, che non potesse passare inascoltata: era opinione diffusa infatti che chi comprasse musica volesse godere di volumi altissimi nonostante le limitate prestazioni del proprio impianto.

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Quali che fossero le premesse, la Loudness War non potette spingersi troppo in là mentre il vinile rimaneva il supporto principe della grande distribuzione musicale. Le caratteristiche fisiche di un disco in vinile infatti pongono dei limiti alla compressione e alla distorsione della musica, come del resto tutti i supporti analogici, visto che non permettono gli artefatti derivanti da acquisizione e digitalizzazione.

I limiti fisici del vinile furono spazzati via dall’avvento del CD, soprattutto a partire dal momento in cui il nuovo supporto si diffuse in maniera capillare, grazie alla creazione e alla distribuzione di massa di impianti economici per la riproduzione di musica da compact disk. Negli impianti economici la scarsa qualità del segnale e i trucchetti come la compressione della dinamica erano, e sono, più difficili da cogliere, anche perché di solito questi prodotti sono dedicati agli ascoltatori occasionali e alla grande distribuzione, di solito poco attenta a qualsiasi cosa che non sia il prezzo del prodotto.

I tempi bui della Loudness War

Con l’avvento di decine di migliaia di impianti che funzionavano male e suonavano peggio, le case produttrici di musica negli anni Novanta portarono i livelli di registrazione a vette fino ad allora inimmaginabili, prossimi agli 0 dBFS. A porre i record della Loudness War negli Novanta furono gli Oasis con (What’s the Story) Morning Glory? del 1994, album con cui  spalancarono le porte agli abusi degli anni 2000, durante i quali si arrivò a registrare a -9 dB.

Anche senza bisogno di entrare in dettagli troppo tecnici, i risultati devastanti di questa pratica sono alla portata dell’udito di tutti. Per capire di cosa si sta parlando si può recuperare Californication dei Red Hot Chili Peppers e lasciarlo andare a medio volume. L’ascolto è faticoso e poco piacevole, il suono non ha alcuna profondità a causa della ridottissima gamma dinamica a cui è costretto.
Playing the Angel dei Depeche Mode e ancora Stadium Arcadium e I’m with you dei Red Hot Chili Peppers sono alcune delle vittime più celebri della Loudness War, che è ancora in pieno svolgimento. Proverbiale, nella storia non troppo recente, il caso di Death Magnetic, album dei Metallica la cui qualità era addirittura inferiore alla versione presente nel videogioco Guitar Hero III.

fonte: hdphonic.com
fonte: hdphonic.com

La cosa si è resa ancora più evidente “grazie” ai servizi di audio streaming, che in alcuni casi arrivano addirittura a ricomprimere l’audio per farlo suonare ancora più forte (e peggio), aggiungendo anche questo agli artifici usati per ottimizzare l’uso della banda. Tutto questo però sta per finire.

Pare infatti che qualcuno abbia deciso di smuovere la situazione e di aprire una petizione su change.org. Matt Mayfield, come spiega nel video introduttivo, intende sollevare il popolo degli artisti e dei fruitori di musica stanchi di essere vittime innocenti di questa insensata corsa a chi suona più forte.
Intelligentemente, e facendo una mossa al passo con in tempi, Mayfield sceglie come interlocutore non le case discografiche, ma i servizi in streaming. Secondo la sua visione infatti questo momento storico, che vede la preminenza dello streaming sul supporto fisico, è il momento ideale per provare a fermare definitivamente la Loudness War.

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La petizione sostiene la necessità che i servizi di streaming, con i quali si veicola ormai la maggior parte della musica odierna, adottino delle politiche “appropriate” per la gestione del volume. In particolare si chiede che i principali sistemi di streaming implementino un livello di volume che sia in linea con le raccomandazioni diramate dall’ AudioEngineering Society.

Più avanti nel testo della petizione si fa riferimento alla necessità di rispettare gli intenti dei singoli artisti, che hanno il diritto di scegliere il mood d’ascolto della propria musica, senza essere forzati a una compressione eccessiva affinché i livelli di volume tocchino i picchi prescritti dalla follia delle case di produzione.

La normalizzazione del volume, che consiste appunto di uniformare i volumi di opere registrate con livelli diversi, porterebbe effettivamente a migliorare moltissimo la godibilità del suono.

La petizione per tentare di porre fine a questo scempio è su Change.org

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